martedì 5 marzo 2013

L'Europa dei ricchi e dei poveri

L'Europa dei 27 e' formata da paesi ricchi e da paesi poveri, in una classifica grossolana ma semplice, e di agevole comprensione.

Nessuno dubita infatti che Germania, Francia, Olanda,Gran Bretagna,ed anche l'Italia, facciano parte della categoria dei paesi ricchi e che ad esempio Romania,Bulgaria,ed altri paesi dell'Europa orientale facciano parte della categoria dei paesi poveri.

Nei paesi ricchi molte famiglie non riescono a coprire la quarta settimana,mentre le fabbriche delocalizzano verso l'Europa Orientale e verso regioni dell'Asia a basso costo di manodopera .

Nei paesi poveri il lavoro - in generale s'intende - non manca e, sempre in generale, la gente vive di stenti, ma copre con pochi problemi la quarta settimana, e ciò:

- sia per il lavoro connesso con l'esigenza diffusa di produrre beni atti a migliorare un primordiale tenore di vita, di atavica origine, condizione vissuta anche da noi fin oltre il dopoguerra;

- sia per il flusso di lavoro che vien passato dai paesi piu' ricchi, ricchi però anche di manodopera piu' cara, e percio' meno competitiva sul mercato internazionale e di conseguenza meno utilizzabile.

Il fatto che la manodopera dei paesi poveri sia meno cara, a volte molto meno cara,e' il motivo principale della delocalizzazione per gli imprenditori sia italiani che europei,per rimanere nei confini del nostro continente.

I paesi poveri che ne beneficiano, sono ben contenti di aver trovato rimedio ai rispettivi problemi occupazionali, ed altrettanto contenti sono gli imprenditori che beneficiano del risparmio sui costi della manodopera.

Cosi facendo però si è dato spazio a due aspetti negativi:

1 - la crescente disoccupazione nel paese "ricco", un fenomeno considerato ineluttabile dalla classe governante,che poco fa per contrastarlo: non si conoscono infatti iniziative volte a trovare rimedio al preoccupante fenomeno, a dispetto dell’impressionante volume di risorse disperse nella cassa integrazione ( circa 10 miliardi di euro all’anno).E neanche iniziative per creare condizioni atte a stimolare l’imprenditoria e quindi l’occupazione, sia pure concedendo che in un paese “ricco” come il nostro i consumi interni sono in fase asintotica, cioè crescono in misura ridotta essendo frenati dalla ormai diffusa disponibilità di beni di largo consumo (autoveicoli, elettrodomestici di ogni tipo, prodotti griffati, prodotti di lusso in generale, seconde case, etc.);

2 - il paese "povero"continua a vivere nel suo stato di miseria, mantenuto in vita da una situazione occupazionale passabile e compensata con retribuzioni che per il loro basso livello non permetteranno avanzamenti dell'economia che in un arco di tempo molto lungo.

Con tali modeste retribuzioni si potranno infatti comprare soltanto beni prodotti in casa da manodopera indigente oppure importati da paesi asiatici dove il costo della manodopera risultasse confrontabile con quello della manodopera locale.

Si innesca così una spirale a lenta progressione, per cui non è difficile prevedere che occorreranno ai paesi poveri 40-50 anni per adeguarsi alle altre economie europee, cosi come e' avvenuto per l'Italia, pur agevolata quest'ultima dal provvidenziale sostegno del piano Marshall. Durante questo lungo periodo di adeguamento migliorera' lentamente il tenore di vita di tali paesi, cosi come crescera' lentamente il costo della manodopera locale, che resterà tuttavia per molti anni conveniente per i datori di lavoro esterni.

Un'alternativa augurabile sarebbe stata invece quella di un programma di massicci investimenti a carico dei membri della Comunita' Europea, invadendo il paese povero con impianti industriali ma anche con beni di consumo a prezzi correnti, resi accessibili da retribuzioni non troppo lontane dalla media europea. I paesi ricchi avrebbero affrontato un sacrifico economico a beneficio dei paesi poveri, frenando il fenomeno della delocalizzazione, mentre i paesi poveri avrebbero fatto passi da gigante sulla via del progresso, trattenendo in patria gran parte del flusso emigratorio e raggiungendo in pochi anni un sostanziale allineamento economico con i paesi ricchi.

Ciò risponde del resto al criterio etico e logico che non si può formare un unione politica ed economica tra paesi disomogenei per i forti dislivelli reciproci, senza preventivamente organizzare lo spianamento delle disuguaglianze più stridenti, e l'adeguamento delle leggi nazionali alle direttive della Comunità, essendo inimmaginabile che possano convivere in una unione, che dovrebbe essere cementata dalle stesse leggi, un paese indigente ed un paese ricco,un paese che viva nella miseria e nelle privazioni, ed uno che per la sua ricchezza sia incline agli sprechi.

Un intervento nel senso sopra auspicato sembra che sia stato operato dalla Germania Ovest per unificarsi con la zona Est, - dopo il ritiro delle forze sovietiche occupanti - zona le cui condizioni non erano molto dissimili da quelle degli altri paesi a regime comunista.

Un simbolo delle grame condizioni della Germania Est era rappresentato dall'unico tipo di automobile relativamente diffuso: la BRABANT, una lenta vettura mossa da un fumigante motore a 2 tempi.

In pochi anni le differenze economiche tra le due parti del Paese si sono grandemente ridotte, con soddisfazione non solo degli ex occupati, ma anche dei produttori di beni occidentali.

La conseguenza ipotizzabile è che le migrazioni aziendali dai paesi ricchi sarebbero state frenate quando si fosse constatato un divario relativamente modesto con i costi della manodopera nel paese “povero”, divario insufficiente a giustificare il trasferimento degli impianti , come invece correntemente si pratica da tempo.

Sembra che gli imprenditori siano invece interessati a lasciare in essere queste convivenze con paesi che restino poveri, segnati cioè da un destino di lento miglioramento, imprenditori che, condizionati da problemi quotidiani di sopravvivenza, si “arrangiano” a sfruttare le situazioni di arretratezza assorbite nell'unione degli stati europei, preferendo - finché possibile - di avere una "Cina" entro le frontiere europee, in luogo di quella, lontana, che vive entro le proprie.

La Germania , il principale paese della Comunità, sembra non aver voglia di pilotare le necessarie iniziative europee per sollevare, nell'interesse di tutti, alcuni paesi della Comunità dalla propria miseria e ciò sia al fine di rendere le loro economie degne di contribuire ad una decente media europea, e sia al fine impedire che il sacro principio della libera circolazione interna assuma il carattere permanente di uno tsunami a senso unico.

Forse che l'esperienza della riunificazione tedesca, certamente costosa ( si stima oltre 1500 miliardi di euro), ma ormai all'80% del percorso, non sia considerata come un intervento da manuale, da reiterare nell'interesse dell'Europa tutta?

La disoccupazione nell’ area della “ricca” Europa si potrà debellare senza sacrifici?


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