martedì 11 dicembre 2012

UN UTOPIA ELETTORALE


UNA UTOPIA ELETTORALE: IL SORTEGGIO DEI PARLAMENTARI

1 - Il candidato nella lista elettorale

Il meccanismo elettorale attuale è basato sulla possibilità, da parte dell'elettore , di scegliere tra candidati estratti da liste di soggetti nominati dai partiti, scelta non sempre operata, essendo possibile votare in blocco tutta la lista di un certo partito.

In sostanza i candidati risultano  attualmente proposti esclusivamente da quelle facoltose organizzazioni politiche costituite dai partiti politici ( si pensi ai rimborsi elettorali, talmente abbondanti da essere esposti - secondo notizie di stampa - a frequenti appropriazioni indebite nella palude burocratica interna, oppure a collocazioni nei paradisi fiscali oltremare). I partiti sostengono i candidati avviando una attività propagandistica, estremamente dispendiosa (basti pensare alle affissioni, alle cene, ai raduni musicali ed alle varie iniziative pubblicitarie), nella quale il candidato sostenuto propone la sua faccia e la sua loquela, onde suscitare un moto di simpatia nell'elettore. Quasi mai il candidato dà conto del proprio curriculum, e di altre informazioni che ne lascino intravedere  la serietà e l'affidabilità, quando chiede un voto che, si sa, è accordato dall'elettore senza vincolo di mandato .

 Si fa un gran parlare di una nuova legge elettorale che dia modo all'elettore di esprimere preferenze per i singoli candidati di lista, a differenza di quella vigente.  Ma a ben guardare che cosa induce un elettore a preferire un candidato piuttosto che un altro? Escludendo legami di parentela e seguendo le cronache e le esperienze dirette,l'elettore viene attirato dai candidati nei modi più vari, tra cui: inviti a cena semplici,inviti a cena con 100 euro sotto il piatto con il sollazzo di taluni che partecipano a più cene con l'intera famiglia, erogazione di prodotti alimentari, promessa di adoperarsi per un posto di lavoro, premi per chi si adopera a reperire voti nell'ambito delle proprie conoscenze, e così via dicendo.

In sostanza la possibilità di scelta che si vuole accordare all'elettore non si traduce in alcunché di nobile, e nemmeno è connesso ad una fama professionale o ad altri aspetti influenzati dal merito personale, aspetti tutti che comunque non sono in grado di attirare migliaia di voti, come invece è possibile regalando beni materiali a mezzo mondo. La conseguenza è che il candidato od il suo partito si dissanguano per conquistare le "preferenze",con l'ulteriore conseguenza che la necessità di rientrare dalle spese affrontate  trasforma in molti casi il candidato eletto in un animale vorace, fino ad infrangere  i limiti della civile convivenza, come dimostra l'emersione di taluni episodi da codice penale.

Ecco quindi che  i candidati eletti corrono il rischio del condizionamento da parte degli elettori che li hanno sostenuti, circostanza che lascia comprendere la pratica delle assunzioni nominative  di personale superfluo, a carico degli enti pubblici e cioè a spese del contribuente, per mantenere vivo il consenso dell' elettorato acquisito,onorando le promesse elettorali, e ciò a beneficio della  carriera politica dell'eletto, programmata per la vita. I partiti invece si rinsanguano con i cosiddetti rimborsi elettorali, distribuiti dallo Stato con criteri che nulla hanno a che vedere con la dimostrazione delle spese sostenute e della loro congruità.

In definitiva quindi  il meccanismo elettorale attuale, per com'è congegnato, da un lato non è per nulla selettivo e dall'altro è suscettibile di dare spazio alla corruzione, una infezione di base capace di minare la democrazia, per la sua attitudine ad estendersi  a macchia d'olio   a pressoché  tutti i rami della vita pubblica, con le conseguenze disastrose che sono sotto gli occhi di tutti, anche per l'assenza di  organismi di controllo, che siano dotati di poteri coercitivi.

2- La riduzione dei parlamentari

Negli ultimi tempi, nel clima di crisi che si respira, tutti i partiti sembrano d'accordo sulla riduzione numerica dei parlamentari e si punta decisamente ad una drastica riduzione a metà, sia da destra che da sinistra.

Un'esigenza comprensibile, sia per la prevedibile riduzione dei costi  del parlamento che  per rendere più snella ed incisiva l'attività legislativa, atteso che il gran numero di parlamentari rende tale attività lenta per la farragine e per l'inconcludenza, in tempi dove l'informatica  pone decisamente fuori tempo i ritmi con cui  le due Camere, organizzate come dispendiosi doppioni, assecondano l'attività del governo, spesso costretto a ricorrere alle votazioni di fiducia per abbreviare estenuanti dibattiti dal risultato scontato e stringere sui tempi.

Viene da osservare che la progettata riduzione dei parlamentari è meramente numerica e cioè quantitativa e non qualitativa e non è in alcun modo selettiva; non è in altri termini frutto di studi tendenti ad individuare l'entità numerica più confacente per l'attività legislativa di un parlamento: non ci si pronuncia, ad esempio:  su eventuali quote professionali, su specifiche qualifiche  culturali,   su aspetti insomma che fossero ritenuti indispensabili per costituire un codice di qualità idoneo a qualificare un rappresentante del popolo chiamato a legiferare.

3- Un differente criterio  di selezione dei parlamentari

Se quindi ragioniamo solo sui numeri e non sulle qualifiche non è azzardato immaginare come possibile la semplificazione del meccanismo di reclutamento dei membri del Parlamento, rendendolo assai meno costoso.

Una ipotesi - che agli scettici potrà apparire utopica - è quella che vede la funzione parlamentare come un servizio  a tempo definito, al quale possa esser chiamato ogni cittadino nell'interesse della comunità, del tipo del servizio militare obbligatorio, con tutte le differenze del caso. Un servizio pubblico al quale tutti dovremmo sentirci moralmente  impegnabili, seppur rifiutabile per dimostrato impedimento.

Ogni cittadino,in questa ipotesi, dovrebbe poter entrare in liste di eleggibilità territoriale, liste da formare tramite una selezione che sia basata:                                                                                                                                  - sul curriculum personale, aggiornato periodicamente;                                                                                            --- sulle denuncie annuali dei redditi,                                                                                                                                 - - su altri elementi da valutare, tra i quali una discreta cultura generale che travalichi i confini della propria cultura professionale, prescindendo in ogni caso dall'orientamento politico.

Il rinnovo periodico del parlamento avverrebbe mediante una estrazione a sorte tra gli eleggibili, in quote territoriali proporzionali alla consistenza numerica degli abitanti. Pazzesco?

Che differenza passerebbe con l'assortimento qualitativo attuale dei parlamentari, dove la minoranza elitaria e preparata è inglobata senza poteri di persuasione in una maggioranza di incompetenti ed inconcludenti, la quale risponde - nella maggior parte dei casi -  agli indirizzi di una segreteria di partito? Vien qui da ricordare un episodio riferito dalla stampa ai tempi dei governi sostenuti da tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale, dal quale era escluso tra gli altri il partito liberale, piazzato invece all'opposizione. Si narra che un deputato liberale trattasse in una seduta della Camera un tema di carattere sanitario, con la competenza che gli derivava dall'essere un primario. Al termine un deputato della maggioranza replicò: Come medico hai ragione, ma come liberale hai torto! Questa battuta rende bene, a parere dello scrivente, il significato della dittatura di maggioranza, la quale regola l'esercizio  del potere in modo talvolta ottuso, al punto tale da indurre talune minoranze ad opporre, in certe situazioni di rigidità della maggioranza, la pratica - non certo democratica - dell'ostruzionismo.

 In ogni caso in parlamento la democrazia si esercita meno attraverso il contributo libero ed autonomo dell'eletto , che attraverso lotte di gruppi che si precostituiscono sulle ideologie e sui programmi impostati e sostenuti a nome del partito da un nucleo ristretto o addirittura da un solo individuo. Ne fanno prova casi ripetuti di espulsioni dal gruppo per chi manifesta opinioni personali divergenti da quelle del leader. Od anche le situazioni di stallo parlamentare derivanti da veti incrociati tra gli oligarchi  di partito.

Allora vien da chiedersi: quale inaccettabile differenza passerebbe tra l'ipotizzato metodo dell'estrazione a sorte e  quelle selezioni preelettorali dei partiti che imbarcano pornostar ed ex terroristi, semplicemente perchè a causa della loro notorietà sono in grado di attirare voti?  La pornostar  deriva la sua notorietà dalla stampa rosa, l'ex terrorista a sua volta è noto per essere apparso ripetutamente sulle cronache, per le imprese che gli hanno meritato la galera. E non si dica che, avendo questi scontato la pena, è un cittadino come gli altri. Lo è di certo, ma non fino al punto di occupare un incarico pubblico o di apparire, intervistato in qualità di ex, su stampa e televisione, col risultato di costituire un discutibile riferimento per eventuali emulazioni da parte di sprovveduti in cerca di notorietà.                                                                                          La stessa considerazione  della notorietà, come esclusivo criterio di selezione, viene applicata dai partiti  ai congiunti di illustri servitori dello Stato,falciati dalla malavita, quando vengono scelti  nonostante non avessero in precedenza conquistato particolare fama per la loro attitudine all'agone politico.

Non sembrerebbero allora nella media,gli ipotetici parlamentari per estrazione, di qualità peggiore di quella degli attuali, scelti tramite l'esclusivo canale dei partiti. E' significativa la statistica che rileva attualmente tra gli eletti più votati la presenza della maggior parte degli indagati dalla magistratura per concussione o appropriazione indebita. Forse non a caso.

Il criterio di scelta per estrazione dunque non demerita rispetto ai sistemi elettorali finora sperimentati. Eliminerebbe il potere oligarchico dei partiti e la dittatura della maggioranza. In altri termini le maggioranze andrebbero a formarsi sulle singole iniziative legislative promosse dal Governo o dai singoli parlamentari, potendo rivelarsi , tali maggioranze, di differente composizione,caso per caso.

Oggi invece basta che il Capo del Governo si incontri con i tre segretari di partito, che rappresentano l'attuale maggioranza, per andare dritto alla approvazione parlamentare dei provvedimenti messi in votazione, sicuro anche di non dover perdere tempo nel dibattito, col ricorso alla pantomima della "fiducia", già garantita in anticipo dalla troika oligarchica, in nome e per conto delle centinaia di peones eletti dal popolo,  ma che hanno ceduto la propria sovranità ad una organizzazione partitica,  la quale traccia  comportamenti, decisi dalla rispettiva segreteria, tramite un emulo  di imperatore romano nell'atto di decidere della vita del gladiatore perdente, quando trasmette in aula alla propria platea, come si vede in tv, le modalità di votazione, articolando il pollice. Tale costatazione induce a pensare che il parlamento attuale potrebbe in fondo ridursi a poche decine di persone, dato che  si vota a comando.

Che fine farebbero i partiti? Nessun "de profundis". I partiti tornano ad essere quelle associazioni previste dalla Costituzione  volte ad orientare politicamente i cittadini, partiti sostenitori di disegni politici distinti, un tempo chiamati ideologie, oggi sostituite da programmi spesso generici e comunque inadeguati a distinguerne l'identità. Vivrebbero dei contributi degli iscritti, il cui numero sarebbe sinonimo della  loro importanza politica.

Ma, allora, che fine fa la lotta politica per eleggere i rappresentanti del popolo? Essa sopravviverebbe sia per la naturale attività di orientamento politico cui sono destinati i partiti, e sia per l'unica gara elettorale che resterebbe in vita: quella della elezione del presidente della repubblica, o del presidente del consiglio dei ministri - a seconda del criterio che prevalga per il vertice istituzionale - e cioè quella della scelta di una personalità, una sola, chiamata ad assumere pro tempore decisioni nell'interesse nazionale, in ciò aiutato da uno stuolo di consulenti - esecutori, detti anche ministri, aventi il compito di suggerire soluzioni e dare corso agli indirizzi dell'eletto, potendo al limite essere dimissionati se, anziché coadiuvare, fossero di intralcio alle iniziative deliberate,  soggette comunque alla approvazione del parlamento degli estratti a sorte.

Ciò che deve prevalere in fatto di decisioni è il concetto che a decidere deve essere una sola persona in campo nazionale ,e cioè il presidente eletto, che provvede dopo la fase di consultazione con tutti coloro, ministri, parlamentari o esperti nelle varie materie, che possano fornire indicazioni, non vincolanti ma sommamente utili alla maturazione delle decisioni. Decisioni che devono però discendere dal convincimento personale di chi decide e non da quello dei consiglieri,  perché è soltanto l'eletto che deve assumerne in toto la  responsabilità.

Cadrebbero così le divisioni interne al Consiglio dei Ministri, generate dalla circostanza che oggi i ministri  al contrario si presentano come delegati del partito che rappresentano e si comportano in modo da assicurarsi la massima visibilità mediatica, disposti a  dichiarazioni anche dissonanti da quelle del Premier, ma che siano giovevoli  sia al partito che alla propria carriera politica, una scelta di vita alla perenne ricerca del voto.

Cadrebbe inoltre la necessità delle elezioni regionali, oggi altrettante repubbliche indipendenti, venendo i governatori in questa utopica ipotesi a perdere la caratteristica di soggetti politici indipendenti per essere nominati dal presidente dello Stato,come persone di fiducia dello stesso ed esecutori degli indirizzi programmatici trasmessi. I governatori a loro volta dovrebbero poter nominare gli assessori come persone di propria fiducia e non come emanazione dei partiti, se le regioni dovessero dimostrare la necessità della propria esistenza.

Il meccanismo potrebbe applicarsi anche alla selezione dei sindaci comunali, come esecutori degli indirizzi di un programma a validità nazionale definito dal presidente eletto ed adattato dal governatore alle specifiche situazioni regionali. Tutti sarebbero dipendenti diretti ed indiretti dal presidente, siano essi ministri od assessori, e dovrebbero essere licenziabili con la semplice ma motivata manifestazione di sfiducia da parte del superiore gerarchico, come accade contrattualmente per i dirigenti privati, ai quali già ora non si applica il rientro in azienda in caso di licenziamento ingiustificato, previsto invece, com'è noto, dall'art.18 della legge 300/ 1970 per le altre categorie di dipendenti.

I partiti non avrebbero più bisogno di rimborsi elettorali, non dovendo  sostenere spese a sostegno di propri candidati. Non avrebbero inoltre alcun titolo per piazzare nella pubblica amministrazione propri iscritti o simpatizzanti,facendo sorgere problemi di  " equa" ripartizione,  qualora i relativi dirigenti fossero estratti a sorte da appositi albi professionali redatti ed aggiornabili in base alla valutazione dei rispettivi curriculum, con garanzia di assoluta indipendenza da influenze partitocratiche, ed al contrario di piena ed esclusiva dipendenza dalla struttura gerarchica preposta.

Il parlamentare, estratto dalla sorte, fondamentalmente  si esprime con un voto nelle circostanze che lo richiedono,e contribuisce al dibattito con propri interventi. Il suo voto rispecchierà il proprio orientamento sul tema in dibattito, orientamento che  potrà non è necessariamente conforme all'orientamento del partito per il quale nutre simpatia e nemmeno a quello, com'è oggi, dell'eventuale  partito di appartenenza. Nessuno potrà chiedere conto del suo voto, perché non deve essere grato a chicchessia per la propria estrazione. Nessuno potrà minacciarlo di escluderlo dalla candidatura per le future elezioni, dato che il suo mandato è già previsto che si  esaurisca con la fine della legislatura, quando tornerà all'esercizio della originaria professione.

Un parlamento siffatto potrebbe correttamente definirsi democratico, anzichè partitocratico com'è in realtà nelle condizioni attuali.

 

Le alleanze preelettorali tra partiti restano possibili, ma non più per condizionare il governo attraverso molteplici rappresentanti parlamentari ad orientamento precostituito, sebbene per eleggere un presidente della repubblica ovvero un primo ministro, quando si vuole che il candidato emerga da elezioni primarie a rappresentare un determinato partito od una coalizione, che abbiano maturato un articolato programma politico, il quale abbia il pregio di essere compreso dagli elettori e l'aspirazione ad essere condiviso.

Questa ipotesi utopica, dell'estrazione a sorte dei parlamentari  a democratico supporto di un unico centro decisionale, è una riflessione allo stato embrionale, che potrebbe meritare tuttavia dibattiti ed approfondimento per valutarne tutti gli aspetti che consentano di giudicarne  consistenza e praticabilità.

                                                  Rino PALMIERI                                                                                                                                 rinopalm@gmail.com

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