Il giorno
dopo le consultazioni elettorali emerge una situazione di ripartizione dei
voti in tre parti pressoché uguali tra i partiti in lizza più importanti: il
PD, il PDL e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo,una nuova formazione
contestataria, questa, il cui orientamento ai fini della formazione di un
governo che poggi su di una maggioranza precostituita costituisce un problema
per lo stesso leader, sorpreso per l’inatteso successo elettorale.
Resterebbe
però praticabile - all’occhio di chi si sente estraneo ai bizantinismi della
politica - anche l’alternativa della formazione di un governo, formato dal
partito che abbia conquistato la maggioranza relativa - che al momento sui dati
definitivi sembra essere il PD - e che possa reggersi su maggioranze di volta
in volta acquisite sui singoli provvedimenti che vengano sottoposti
all’approvazione del Parlamento.
In questo
senso sembra che si sia pronunciato Beppe Grillo, respingendo tuttavia in
termini offensivi (dai giornali: un morto che parla) il tentato approccio di
Bersani, in cerca di sintonie politiche, e soffocando così quel fondo di serietà
che dovrebbe caratterizzare i comici autentici.
Questa
alleanza preventiva con altri partiti al fine di costituire un governo che
guadagni subito la benedizione parlamentare, e ciò in un clima di diffusa
confusione politica, questa alleanza non sembra – a guardar bene - avere alcun
senso, perché sarebbe basata sul nulla, in assenza di programmi che non siano
una semplice enunciazione di principi.
Se dovesse
reggere tale impostazione, si potrebbe alimentare la speranza utopistica di
allontanare il rischio della dittatura da parte di una maggioranza precostituita
ed invariabile, rischio cioè di dare origine alla radicalizzazione della lotta
politica in parlamento tra fronti opposti, come avvenuto quasi sempre nei
governi delle passate legislature.
Il
segretario del partito vincente ha sicuramente il titolo per chiedere al
Presidente della Repubblica l’autorizzazione a formare un governo. Con quale
criterio scegliere i ministri? Il designato premier dovrebbe prendere coraggio,
seguendo le orme tracciate dal premier uscente, e cioè scegliere persone
selezionate da lui stesso in funzione degli incarichi da conferire, tecnici si
direbbe oggi, gente alla quale si possa riconoscere un’alta dose di buon senso
e capacità manageriali non comuni.
Non
dovrebbero entrare nel governo, per principio, dei politici, che - assumendo
inevitabilmente la rappresentanza dei partiti in lizza - si renderebbero, per
farla breve, inamovibili. La licenziabilità dei ministri dovrebbe invece
essere un punto fondamentale di tale governo, che non a caso si chiama anche “
esecutivo”, in cui – perciò stesso – dovrebbe prevalere
l’azione, la cui responsabilità dovrebbe comunque ricadere
esclusivamente sul Premier.L’azione del politico eletto dovrebbe limitarsi
esclusivamente all’espressione di un voto motivato, escludendo manovre sulle
leve di potere, riservate al Premier ed agli specialisti dallo stesso
appositamene designati e controllati. Utopia?
Il governo
dovrebbe inoltre presentarsi in Parlamento non per riscuotere preventivamente
la cosiddetta “ fiducia”, ma semmai per la doverosa presentazione dei
componenti, e come atto di riguardo e di saluto per i neo-parlamentari,
rappresentanti del popolo.
Non si vede
in questo ipotetico quadro l’utilità di ricercare un preventiva alleanza, di
dubbia impronta democratica, tra partiti più o meno affini od addirittura in
reciproca opposizione: il Premier promuove il programma a cui ha dato corpo
durante la campagna elettorale, tiene nel dovuto conto le istanze avanzate dai
vari partiti rappresentati in parlamento, e mette a punto il programma
definitivo. Segue la fase in cui il premier con l’ausilio dei ministri da lui
nominati “ esegue il programma” con lo studio e la promulgazione di disegni di
legge da sottoporre all’approvazione del Parlamento.
E’ evidente
che il Premier avveduto non avendo una maggioranza precostituita dovrà sondare
il terreno di volta in volta per capire se sul particolare tema, che si propone
di mettere in discussione, esiste la probabilità che si formi una qualsiasi
maggioranza, adottando opportune tecniche di consultazione .
L’incertezza politica che ha
contraddistinto la fase terminale del governo Berlusconi - e che continua a
persistere dopo l’esperimento del governo Monti - sembrerebbe offrire il
momento adatto per rivedere l’impostazione dei dibattiti parlamentari, al fine
di evitare in via definitiva che attraverso la formazione di alleanze – che si
fondano sul reciproco interesse dei partiti e sul criterio della massima
visibilità mediatica e non sull’interesse del Paese, spesso vanamente
sbandierato - si torni a ricreare una maggioranza fissa che governi per una
intera legislatura degenerando inevitabilmente in una sostanziale dittatura,
vanamente contrastata da una opposizione, l’una e l’altra abbarbicate su
posizioni ideologiche precostituite.
Non si
dovrebbe ripetere l’assurdo episodio delle dimissioni del governo Monti,
causato, a quanto se ne sa, da un Berlusconi che fa sapere di non nutrire più la
fiducia con la quale aveva fino ad allora sostenuto tale governo. Dimissioni di
ardua comprensione per l’uomo della strada non risultando che il governo Monti
fosse stato eventualmente battuto in Parlamento su di uno specifico
provvedimento.
Approvazione o respingimento che avrebbero
dovuto comunque riguardare solo il provvedimento, con chiara assunzione di
responsabilità in votazione palese, e non il governo che inopportunamente ha
assecondato la dissipazione della nuvoletta sulla quale poggiava l’ inattesa
fiducia da parte della terna di partiti che si erano affrettati a dichiararsi
favorevoli a quella che appariva come un’iniziativa in extremis del Capo dello
Stato.
28 febbraio 2013
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