UNA UTOPIA ELETTORALE: IL SORTEGGIO DEI PARLAMENTARI
1 -
Il candidato nella lista elettorale
Il
meccanismo elettorale attuale è basato sulla possibilità, da parte dell'elettore
, di scegliere tra candidati estratti da liste di soggetti nominati dai partiti,
scelta non sempre operata, essendo possibile votare in blocco tutta la lista di
un certo partito.
In sostanza
i candidati risultano attualmente proposti
esclusivamente da quelle facoltose organizzazioni politiche costituite dai
partiti politici ( si pensi ai rimborsi elettorali, talmente abbondanti da
essere esposti - secondo notizie di stampa - a frequenti appropriazioni
indebite nella palude burocratica interna, oppure a collocazioni nei paradisi
fiscali oltremare). I partiti sostengono i candidati avviando una attività
propagandistica, estremamente dispendiosa (basti pensare alle affissioni, alle
cene, ai raduni musicali ed alle varie iniziative pubblicitarie), nella quale
il candidato sostenuto propone la sua faccia e la sua loquela, onde suscitare
un moto di simpatia nell'elettore. Quasi mai il candidato dà conto del proprio
curriculum, e di altre informazioni che ne lascino intravedere la serietà e l'affidabilità, quando chiede un
voto che, si sa, è accordato dall'elettore senza vincolo di mandato .
Si fa un gran parlare di una nuova legge
elettorale che dia modo all'elettore di esprimere preferenze per i singoli candidati
di lista, a differenza di quella vigente.
Ma a ben guardare che cosa induce un elettore a preferire un candidato
piuttosto che un altro? Escludendo legami di parentela e seguendo le cronache e
le esperienze dirette,l'elettore viene attirato dai candidati nei modi più
vari, tra cui: inviti a cena semplici,inviti a cena con 100 euro sotto il
piatto con il sollazzo di taluni che partecipano a più cene con l'intera
famiglia, erogazione di prodotti alimentari, promessa di adoperarsi per un
posto di lavoro, premi per chi si adopera a reperire voti nell'ambito delle
proprie conoscenze, e così via dicendo.
In
sostanza la possibilità di scelta che si vuole accordare all'elettore non si
traduce in alcunché di nobile, e nemmeno è connesso ad una fama professionale o
ad altri aspetti influenzati dal merito personale, aspetti tutti che comunque
non sono in grado di attirare migliaia di voti, come invece è possibile
regalando beni materiali a mezzo mondo. La conseguenza è che il candidato od il
suo partito si dissanguano per conquistare le "preferenze",con
l'ulteriore conseguenza che la necessità di rientrare dalle spese
affrontate trasforma in molti casi il
candidato eletto in un animale vorace, fino ad infrangere i limiti della civile convivenza, come
dimostra l'emersione di taluni episodi da codice penale.
Ecco
quindi che i candidati eletti corrono il
rischio del condizionamento da parte degli elettori che li hanno sostenuti, circostanza
che lascia comprendere la pratica delle assunzioni nominative di personale superfluo, a carico degli enti
pubblici e cioè a spese del contribuente, per mantenere vivo il consenso dell'
elettorato acquisito,onorando le promesse elettorali, e ciò a beneficio
della carriera politica dell'eletto, programmata
per la vita. I partiti invece si rinsanguano con i cosiddetti rimborsi
elettorali, distribuiti dallo Stato con criteri che nulla hanno a che vedere
con la dimostrazione delle spese sostenute e della loro congruità.
In
definitiva quindi il meccanismo
elettorale attuale, per com'è congegnato, da un lato non è per nulla selettivo
e dall'altro è suscettibile di dare spazio alla corruzione, una infezione di
base capace di minare la democrazia, per la sua attitudine ad estendersi a macchia d'olio a pressoché
tutti i rami della vita pubblica, con le
conseguenze disastrose che sono sotto gli occhi di tutti, anche per l'assenza
di organismi di controllo, che siano dotati
di poteri coercitivi.
2-
La riduzione dei parlamentari
Negli
ultimi tempi, nel clima di crisi che si respira, tutti i partiti sembrano
d'accordo sulla riduzione numerica dei parlamentari e si punta decisamente ad
una drastica riduzione a metà, sia da destra che da sinistra.
Un'esigenza
comprensibile, sia per la prevedibile riduzione dei costi del parlamento che per rendere più snella ed incisiva l'attività
legislativa, atteso che il gran numero di parlamentari rende tale attività lenta
per la farragine e per l'inconcludenza, in tempi dove l'informatica pone decisamente fuori tempo i ritmi con
cui le due Camere, organizzate come
dispendiosi doppioni, assecondano l'attività del governo, spesso costretto a ricorrere
alle votazioni di fiducia per abbreviare estenuanti dibattiti dal risultato
scontato e stringere sui tempi.
Viene
da osservare che la progettata riduzione dei parlamentari è meramente numerica
e cioè quantitativa e non qualitativa e non è in alcun modo selettiva; non è in
altri termini frutto di studi tendenti ad individuare l'entità numerica più
confacente per l'attività legislativa di un parlamento: non ci si pronuncia, ad
esempio: su eventuali quote
professionali, su specifiche qualifiche
culturali, su aspetti insomma che
fossero ritenuti indispensabili per costituire un codice di qualità idoneo a qualificare un rappresentante del popolo
chiamato a legiferare.
3-
Un differente criterio di selezione dei
parlamentari
Se
quindi ragioniamo solo sui numeri e non sulle qualifiche non è azzardato
immaginare come possibile la semplificazione del meccanismo di reclutamento dei
membri del Parlamento, rendendolo assai meno costoso.
Una
ipotesi - che agli scettici potrà apparire utopica - è quella che vede la
funzione parlamentare come un servizio a
tempo definito, al quale possa esser chiamato ogni cittadino nell'interesse
della comunità, del tipo del servizio militare obbligatorio, con tutte le
differenze del caso. Un servizio pubblico al quale tutti dovremmo sentirci
moralmente impegnabili, seppur
rifiutabile per dimostrato impedimento.
Ogni cittadino,in questa ipotesi, dovrebbe poter entrare in liste di eleggibilità territoriale, liste
da formare tramite una selezione che sia basata:
- sul curriculum personale,
aggiornato periodicamente;
--- sulle
denuncie annuali dei redditi,
- - su altri elementi da valutare,
tra i quali una discreta cultura generale che travalichi i confini della
propria cultura professionale, prescindendo in ogni caso dall'orientamento
politico.
Il
rinnovo periodico del parlamento avverrebbe mediante una estrazione a sorte tra gli eleggibili,
in quote territoriali proporzionali alla consistenza numerica degli
abitanti. Pazzesco?
Che
differenza passerebbe con l'assortimento qualitativo attuale dei parlamentari,
dove la minoranza elitaria e preparata è inglobata senza poteri di persuasione in
una maggioranza di incompetenti ed inconcludenti, la quale risponde - nella maggior
parte dei casi - agli indirizzi di una
segreteria di partito? Vien qui da ricordare un episodio riferito dalla stampa
ai tempi dei governi sostenuti da tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale,
dal quale era escluso tra gli altri il partito liberale, piazzato invece all'opposizione.
Si narra che un deputato liberale trattasse in una seduta della Camera un tema
di carattere sanitario, con la competenza che gli derivava dall'essere un
primario. Al termine un deputato della maggioranza replicò: Come medico hai ragione, ma come liberale
hai torto! Questa battuta rende bene, a parere dello scrivente, il
significato della dittatura di maggioranza, la quale regola l'esercizio del potere in modo talvolta ottuso, al punto
tale da indurre talune minoranze ad opporre, in certe situazioni di rigidità
della maggioranza, la pratica - non certo democratica - dell'ostruzionismo.
In ogni caso in parlamento la democrazia si
esercita meno attraverso il contributo libero ed autonomo dell'eletto , che
attraverso lotte di gruppi che si precostituiscono sulle ideologie e sui
programmi impostati e sostenuti a nome del partito da un nucleo ristretto o
addirittura da un solo individuo. Ne fanno prova casi ripetuti di espulsioni
dal gruppo per chi manifesta opinioni personali divergenti da quelle del
leader. Od anche le situazioni di stallo parlamentare derivanti da veti
incrociati tra gli oligarchi di partito.
Allora
vien da chiedersi: quale inaccettabile differenza passerebbe tra l'ipotizzato metodo
dell'estrazione a sorte e quelle
selezioni preelettorali dei partiti che imbarcano pornostar ed ex terroristi,
semplicemente perchè a causa della loro notorietà sono in grado di attirare
voti? La pornostar deriva la sua notorietà dalla stampa rosa,
l'ex terrorista a sua volta è noto per essere apparso ripetutamente sulle
cronache, per le imprese che gli hanno meritato la galera. E non si dica che,
avendo questi scontato la pena, è un cittadino come gli altri. Lo è di certo,
ma non fino al punto di occupare un incarico pubblico o di apparire,
intervistato in qualità di ex, su stampa e televisione, col risultato di costituire
un discutibile riferimento per eventuali emulazioni da parte di sprovveduti in
cerca di notorietà. La
stessa considerazione della notorietà,
come esclusivo criterio di selezione, viene applicata dai partiti ai congiunti di illustri servitori dello Stato,falciati
dalla malavita, quando vengono scelti nonostante
non avessero in precedenza conquistato particolare fama per la loro attitudine all'agone
politico.
Non
sembrerebbero allora nella media,gli ipotetici parlamentari per estrazione, di
qualità peggiore di quella degli attuali, scelti tramite l'esclusivo canale dei
partiti. E' significativa la statistica che rileva attualmente tra gli eletti
più votati la presenza della maggior parte degli indagati dalla magistratura per
concussione o appropriazione indebita. Forse non a caso.
Il
criterio di scelta per estrazione dunque non demerita rispetto ai sistemi
elettorali finora sperimentati. Eliminerebbe il potere oligarchico dei partiti
e la dittatura della maggioranza. In altri termini le maggioranze andrebbero a
formarsi sulle singole iniziative legislative promosse dal Governo o dai
singoli parlamentari, potendo rivelarsi , tali maggioranze, di differente
composizione,caso per caso.
Oggi
invece basta che il Capo del Governo si incontri con i tre segretari di
partito, che rappresentano l'attuale maggioranza, per andare dritto alla
approvazione parlamentare dei provvedimenti messi in votazione, sicuro anche di
non dover perdere tempo nel dibattito, col ricorso alla pantomima della
"fiducia", già garantita in anticipo dalla troika oligarchica, in nome
e per conto delle centinaia di peones eletti dal popolo, ma che hanno ceduto la propria sovranità ad una
organizzazione partitica, la quale
traccia comportamenti, decisi dalla
rispettiva segreteria, tramite un emulo di imperatore romano nell'atto di decidere
della vita del gladiatore perdente, quando trasmette in aula alla propria
platea, come si vede in tv, le modalità di votazione, articolando il pollice.
Tale costatazione induce a pensare che il parlamento attuale potrebbe in fondo ridursi
a poche decine di persone, dato che si vota
a comando.
Che
fine farebbero i partiti? Nessun "de profundis". I partiti tornano ad
essere quelle associazioni previste dalla Costituzione volte ad orientare politicamente i cittadini,
partiti sostenitori di disegni politici distinti, un tempo chiamati ideologie,
oggi sostituite da programmi spesso generici e comunque inadeguati a
distinguerne l'identità. Vivrebbero dei contributi degli iscritti, il cui
numero sarebbe sinonimo della loro
importanza politica.
Ma,
allora, che fine fa la lotta politica per eleggere i rappresentanti del popolo?
Essa sopravviverebbe sia per la naturale attività di orientamento politico cui
sono destinati i partiti, e sia per l'unica gara elettorale che resterebbe in
vita: quella della elezione del presidente della repubblica, o del presidente
del consiglio dei ministri - a seconda del criterio che prevalga per il vertice
istituzionale - e cioè quella della scelta di una personalità, una sola, chiamata
ad assumere pro tempore decisioni nell'interesse nazionale, in ciò aiutato da
uno stuolo di consulenti - esecutori, detti anche ministri, aventi il compito
di suggerire soluzioni e dare corso agli indirizzi dell'eletto, potendo al
limite essere dimissionati se, anziché coadiuvare, fossero di intralcio alle
iniziative deliberate, soggette comunque
alla approvazione del parlamento degli estratti a sorte.
Ciò
che deve prevalere in fatto di decisioni è il concetto che a decidere deve
essere una sola persona in campo nazionale ,e cioè il presidente eletto, che
provvede dopo la fase di consultazione con tutti coloro, ministri, parlamentari
o esperti nelle varie materie, che possano fornire indicazioni, non vincolanti ma
sommamente utili alla maturazione delle decisioni. Decisioni che devono però discendere
dal convincimento personale di chi decide e non da quello dei consiglieri, perché è soltanto l'eletto che deve assumerne
in toto la responsabilità.
Cadrebbero
così le divisioni interne al Consiglio dei Ministri, generate dalla circostanza
che oggi i ministri al contrario si
presentano come delegati del partito che rappresentano e si comportano in modo
da assicurarsi la massima visibilità mediatica, disposti a dichiarazioni anche dissonanti da quelle del
Premier, ma che siano giovevoli sia al
partito che alla propria carriera politica, una scelta di vita alla perenne
ricerca del voto.
Cadrebbe
inoltre la necessità delle elezioni regionali, oggi altrettante repubbliche
indipendenti, venendo i governatori in questa utopica ipotesi a perdere la
caratteristica di soggetti politici indipendenti per essere nominati dal
presidente dello Stato,come persone di fiducia dello stesso ed esecutori degli
indirizzi programmatici trasmessi. I governatori a loro volta dovrebbero poter
nominare gli assessori come persone di propria fiducia e non come emanazione
dei partiti, se le regioni dovessero dimostrare la necessità della propria
esistenza.
Il
meccanismo potrebbe applicarsi anche alla selezione dei sindaci comunali, come
esecutori degli indirizzi di un programma a validità nazionale definito dal
presidente eletto ed adattato dal governatore alle specifiche situazioni
regionali. Tutti sarebbero dipendenti diretti ed indiretti dal presidente,
siano essi ministri od assessori, e dovrebbero essere licenziabili con la
semplice ma motivata manifestazione di sfiducia da parte del superiore
gerarchico, come accade contrattualmente per i dirigenti privati, ai quali già
ora non si applica il rientro in azienda in caso di licenziamento
ingiustificato, previsto invece, com'è noto, dall'art.18 della legge 300/ 1970 per
le altre categorie di dipendenti.
I
partiti non avrebbero più bisogno di rimborsi elettorali, non dovendo sostenere spese a sostegno di propri
candidati. Non avrebbero inoltre alcun titolo per piazzare nella pubblica
amministrazione propri iscritti o simpatizzanti,facendo sorgere problemi di " equa" ripartizione, qualora i relativi dirigenti fossero estratti
a sorte da appositi albi professionali redatti ed aggiornabili in base alla
valutazione dei rispettivi curriculum, con garanzia di assoluta indipendenza da
influenze partitocratiche, ed al contrario di piena ed esclusiva dipendenza
dalla struttura gerarchica preposta.
Il
parlamentare, estratto dalla sorte, fondamentalmente si esprime con un voto nelle circostanze che
lo richiedono,e contribuisce al dibattito con propri interventi. Il suo voto
rispecchierà il proprio orientamento sul tema in dibattito, orientamento che potrà non è necessariamente conforme all'orientamento
del partito per il quale nutre simpatia e nemmeno a quello, com'è oggi, dell'eventuale
partito di appartenenza. Nessuno potrà
chiedere conto del suo voto, perché non deve essere grato a chicchessia per la
propria estrazione. Nessuno potrà minacciarlo di escluderlo dalla candidatura
per le future elezioni, dato che il suo mandato è già previsto che si esaurisca con la fine della legislatura,
quando tornerà all'esercizio della originaria professione.
Un
parlamento siffatto potrebbe correttamente definirsi democratico, anzichè partitocratico
com'è in realtà nelle condizioni attuali.
Le
alleanze preelettorali tra partiti restano possibili, ma non più per condizionare
il governo attraverso molteplici rappresentanti parlamentari ad orientamento
precostituito, sebbene per eleggere un presidente della repubblica ovvero un
primo ministro, quando si vuole che il candidato emerga da elezioni primarie a
rappresentare un determinato partito od una coalizione, che abbiano maturato un
articolato programma politico, il quale abbia il pregio di essere compreso
dagli elettori e l'aspirazione ad essere condiviso.
Questa
ipotesi utopica, dell'estrazione a sorte dei parlamentari a democratico supporto di un unico centro
decisionale, è una riflessione allo stato embrionale, che potrebbe meritare
tuttavia dibattiti ed approfondimento per valutarne tutti gli aspetti che
consentano di giudicarne consistenza e
praticabilità.
Rino PALMIERI
rinopalm@gmail.com
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