L'Europa dei 27 e' formata da paesi ricchi
e da paesi poveri, in una classifica grossolana ma semplice, e di agevole
comprensione.
Nessuno dubita infatti che Germania,
Francia, Olanda,Gran Bretagna,ed anche l'Italia, facciano parte della categoria
dei paesi ricchi e che ad esempio Romania,Bulgaria,ed altri paesi dell'Europa
orientale facciano parte della categoria dei paesi poveri.
Nei paesi ricchi molte famiglie non
riescono a coprire la quarta settimana,mentre le fabbriche delocalizzano verso
l'Europa Orientale e verso regioni dell'Asia a basso costo di manodopera .
Nei paesi poveri il lavoro - in generale
s'intende - non manca e, sempre in generale, la gente vive di stenti, ma copre
con pochi problemi la quarta settimana, e ciò:
- sia per il lavoro connesso con
l'esigenza diffusa di produrre beni atti a migliorare un primordiale tenore di
vita, di atavica origine, condizione vissuta anche da noi fin oltre il
dopoguerra;
- sia per il flusso di lavoro che vien
passato dai paesi piu' ricchi, ricchi però anche di manodopera piu' cara, e
percio' meno competitiva sul mercato internazionale e di conseguenza meno
utilizzabile.
Il fatto che la manodopera dei paesi
poveri sia meno cara, a volte molto meno cara,e' il motivo principale della
delocalizzazione per gli imprenditori sia italiani che europei,per rimanere nei
confini del nostro continente.
I paesi poveri che ne beneficiano, sono
ben contenti di aver trovato rimedio ai rispettivi problemi occupazionali, ed
altrettanto contenti sono gli imprenditori che beneficiano del risparmio sui
costi della manodopera.
Cosi facendo però si è dato spazio a due
aspetti negativi:
1 - la crescente disoccupazione nel paese
"ricco", un fenomeno considerato ineluttabile dalla classe governante,che poco
fa per contrastarlo: non si conoscono infatti iniziative volte a trovare rimedio
al preoccupante fenomeno, a dispetto dell’impressionante volume di risorse
disperse nella cassa integrazione ( circa 10 miliardi di euro all’anno).E
neanche iniziative per creare condizioni atte a stimolare l’imprenditoria e
quindi l’occupazione, sia pure concedendo che in un paese “ricco” come il nostro
i consumi interni sono in fase asintotica, cioè crescono in misura ridotta
essendo frenati dalla ormai diffusa disponibilità di beni di largo consumo
(autoveicoli, elettrodomestici di ogni tipo, prodotti griffati, prodotti di
lusso in generale, seconde case, etc.);
2 - il paese "povero"continua a vivere nel
suo stato di miseria, mantenuto in vita da una situazione occupazionale
passabile e compensata con retribuzioni che per il loro basso livello non
permetteranno avanzamenti dell'economia che in un arco di tempo molto lungo.
Con tali modeste retribuzioni si potranno
infatti comprare soltanto beni prodotti in casa da manodopera indigente oppure
importati da paesi asiatici dove il costo della manodopera risultasse
confrontabile con quello della manodopera locale.
Si innesca così una spirale a lenta
progressione, per cui non è difficile prevedere che occorreranno ai paesi poveri
40-50 anni per adeguarsi alle altre economie europee, cosi come e' avvenuto per
l'Italia, pur agevolata quest'ultima dal provvidenziale sostegno del piano
Marshall. Durante questo lungo periodo di adeguamento migliorera' lentamente il
tenore di vita di tali paesi, cosi come crescera' lentamente il costo della
manodopera locale, che resterà tuttavia per molti anni conveniente per i datori
di lavoro esterni.
Un'alternativa augurabile sarebbe stata
invece quella di un programma di massicci investimenti a carico dei membri della
Comunita' Europea, invadendo il paese povero con impianti industriali ma anche
con beni di consumo a prezzi correnti, resi accessibili da retribuzioni non
troppo lontane dalla media europea. I paesi ricchi avrebbero affrontato un
sacrifico economico a beneficio dei paesi poveri, frenando il fenomeno della
delocalizzazione, mentre i paesi poveri avrebbero fatto passi da gigante sulla
via del progresso, trattenendo in patria gran parte del flusso emigratorio e
raggiungendo in pochi anni un sostanziale allineamento economico con i paesi
ricchi.
Ciò risponde del resto al criterio etico e
logico che non si può formare un unione politica ed economica tra paesi
disomogenei per i forti dislivelli reciproci, senza preventivamente organizzare
lo spianamento delle disuguaglianze più stridenti, e l'adeguamento delle leggi
nazionali alle direttive della Comunità, essendo inimmaginabile che possano
convivere in una unione, che dovrebbe essere cementata dalle stesse leggi, un
paese indigente ed un paese ricco,un paese che viva nella miseria e nelle
privazioni, ed uno che per la sua ricchezza sia incline agli sprechi.
Un intervento nel senso sopra auspicato
sembra che sia stato operato dalla Germania Ovest per unificarsi con la zona
Est, - dopo il ritiro delle forze sovietiche occupanti - zona le cui condizioni
non erano molto dissimili da quelle degli altri paesi a regime comunista.
Un simbolo delle grame condizioni della
Germania Est era rappresentato dall'unico tipo di automobile relativamente
diffuso: la BRABANT, una lenta vettura mossa da un fumigante motore a 2
tempi.
In pochi anni le differenze economiche tra
le due parti del Paese si sono grandemente ridotte, con soddisfazione non solo
degli ex occupati, ma anche dei produttori di beni occidentali.
La conseguenza ipotizzabile è che le
migrazioni aziendali dai paesi ricchi sarebbero state frenate quando si fosse
constatato un divario relativamente modesto con i costi della manodopera nel
paese “povero”, divario insufficiente a giustificare il trasferimento degli
impianti , come invece correntemente si pratica da tempo.
Sembra che gli imprenditori siano invece
interessati a lasciare in essere queste convivenze con paesi che restino poveri,
segnati cioè da un destino di lento miglioramento, imprenditori che,
condizionati da problemi quotidiani di sopravvivenza, si “arrangiano” a
sfruttare le situazioni di arretratezza assorbite nell'unione degli stati
europei, preferendo - finché possibile - di avere una "Cina" entro le frontiere
europee, in luogo di quella, lontana, che vive entro le proprie.
La Germania , il principale paese della
Comunità, sembra non aver voglia di pilotare le necessarie iniziative europee
per sollevare, nell'interesse di tutti, alcuni paesi della Comunità dalla
propria miseria e ciò sia al fine di rendere le loro economie degne di
contribuire ad una decente media europea, e sia al fine impedire che il sacro
principio della libera circolazione interna assuma il carattere permanente di
uno tsunami a senso unico.
Forse che l'esperienza della
riunificazione tedesca, certamente costosa ( si stima oltre 1500 miliardi di
euro), ma ormai all'80% del percorso, non sia considerata come un intervento da
manuale, da reiterare nell'interesse dell'Europa tutta?
La disoccupazione nell’ area della
“ricca” Europa si potrà debellare senza
sacrifici?
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