In
una metropoli come Roma, può capitare di frequentare la Domenica chiese
diverse, anche per soddisfare il desidero di apprezzare i contenuti di opere d’arte di cui alcune
chiese sono ricche.
Si
ascoltano messe in italiano,in francese,
in inglese, in tedesco, che rispecchiano la folta presenza di ambasciate nella Capitale. Per chi non ha familiarità
con la pronuncia di taluna di queste lingue, non è agevole seguire le espressioni
rituali della messa, talvolta anche a causa di poco efficaci diffusori acustici.
Durante
una di tali messe di problematico ascolto, è riaffiorata in taluno la nostalgia
della messa in latino, un ricordo di gioventù, riflettendo sul fatto che pur
essendo il latino una lingua sconosciuta ai più, in realtà sono duemila
anni che si ripetono nella messa le
stesse frasi per cui qualunque fedele può tradursele mentalmente nella propria
lingua o leggersi la traduzione nei volumetti messi a disposizione nel corso
della funzione religiosa.
Il
latino, pur essendo definito una lingua morta, rimane la lingua che ha generato
la nostra – con un parto, sia detto per
inciso, durato quasi mille anni – ed è ancora presente nell’attuale nostra
lingua in proverbi di antica origine e nel gergo giudiziario, mentre resta la
lingua ufficiale del Vaticano, dove le encicliche pontificie, di diffusione
universale sono tutte elaborate in latino.
Ma a
parte questo usi marginali del latino,
questa lingua trova d’accordo tutti gli scienziati nella catalogazione della
fauna e della flora, e nella simbologia dei metalli e dei prodotti chimici ( sodio: Na- natrium, mercurio: Hg -
hydrargyrum, oro: Au – aurum), costituendo
una soluzione obbligata per evitare di privilegiare qualsiasi lingua moderna, e
di suscitare perciò gelosie nazionalistiche.
Preoccupazione
questa che ha evitato in Svizzera una scelta tra il tedesco,il francese e
l’italiano per la targa auto nazionale ( CH- Confoederatio Helvetica). Una
lingua quindi che, per il suo incancellabile prestigio storico, non suscita
obiezioni quando se ne proponga l’uso sul piano internazionale.
Non
sembra perciò esservi ostacoli a continuare nell’uso del latino da parte della
Chiesa, non sembrando essenziale ai fini dell’apostolato evangelico che le
poche parole ripetute quotidianamente in latino nei secoli, durante la
celebrazione della messa, debbano essere tradotte – si vorrebbe dire
banalizzate – nelle varie lingue in uso nel mondo, togliendo un certo fascino
alla celebrazione per come ci è
pervenuta dagli avi.
Il
latino inoltre si può vestire di una prerogativa unica: quella cioè di essere
l’unica lingua di pace, poco diffusa sì, ma rispettata in tutto il mondo. Essa
è già comunque diffusa attraverso i
sacerdoti, i quali sono portatori di
cultura latina, al punto che, quando si incontrano, usano spesso il latino per
intendersi, tutto il clero mondiale avente una forte base formativa in latino,
maturata spesso in Italia.
L’accrescersi
del livello culturale delle nuove generazioni porterà ad una maggiore
familiarità con il latino, la cui importanza negli ultimi anni è stata
irresponsabilmente disconosciuta nei programmi scolastici, per cui il latino nelle messe potrà tornare ad essere
una componente naturale del rito, nel naturale rispetto della tradizione
religiosa, e non essere più considerato come una stonatura antiquata.
25 gen 2013
Rino
PALMIERI
rinopalm.it